Dagli studi per diventare avvocato degli artisti, al sogno musicale come direttore d’orchestra di successo, Casellati arriva al Filarmonico con Don Pasquale.
Alvise Casellati, enfant prodige dell’avvocatura newyorkese d’affari, si ritrova direttore d’orchestra di successo dopo aver deciso di non smettere mai di seguire il suo sogno musicale dall’età di nove anni, con un diploma di violino. Padovano di nascita, è legato alla storia della sua famiglia, erede di un patrimonio musicale che risale al trisavolo.
Maestro, è a Verona per dirigere il Don Pasquale, che farà a seguire anche a Genova. Come sta affrontando l’opera buffa di Donizetti?
Casellati. «È una partitura che mi fa ridere dalla prima all’ultima riga del libretto e della musica. Per affrontare le opere prima di tutto leggo il libretto, poi vedo come il compositore ha messo tutto in musica. La genialità di Donizetti è ciò che riesce a fare con la musica e le parole. Il mio studio lo affronto su più piani. Don Pasquale è già di per sé un’opera divertente, ma oltre alla comicità c’è molto umorismo, non ci sono risate grasse. Il tema della vecchiaia è molto importante, ed è stato affrontato in modo piuttosto scioccante: Norina dà un sonoro ceffone al vecchio Don Pasquale. Si può anche ridere, ma la scena è molto forte. Inoltre un altro aspetto che ho trovato bellissimo è l’uso del valzer, che è una danza a due. All’inizio c’è un valzer di Don Pasquale molto divertente, ma non ricambiato: ciò che lui immagina non succede. Il valzer successivamente è utilizzato da Norina quando riesce a prevalere su di lui, prima con la minaccia e poi con la violenza. Lui non ci sta e grida al divorzio. Gli unici che riescono a duettare sono gli innamorati nel larghetto finale. Inoltre nella mia concertazione cerco di metterci i giusti rubati, è una partitura difficile, il colore orchestrale cambia in base alla parola. Studio con la massima cura il rapporto parola-nota».
Cosa ci può raccontare di Piero Bellugi? È stato uno dei suoi mentori?
Casellati. «Lui mi ha fatto cambiare vita. Lo conobbi prima a Roma nel 2009, poi lo seguii a New York nel mio master alla Juilliard School. Quando cercavo di sapere chi fosse l’autorità di direzione d’orchestra in Italia mi ripetevano Gelmetti, Renzetti, Bellugi. Però la maggior parte del coro puntava su Bellugi. L‘eleganza e la precisione del gesto del direttore fiorentino sono stati per me rappresentativi di tutto quello che cercavo. Aveva anche una cultura musicale immensa. Dovevamo scrivere un libro di direzione d’orchestra insieme, ma dopo è sopravvenuta la morte. Lasciai l’America per seguirlo, volevo diventare la sua ombra e portare avanti questo progetto».
Ha ancora tempo per farlo.
Casellati. «A tempo debito si farà tutto».
Ci incuriosisce molto la sua collaborazione con John Malkovich. Ce ne può parlare?
Casellati. «Il suo agente venne a vedermi dirigere e parlammo di iniziative che potevamo fare insieme. Mi disse che sarebbe stato bello che al debutto in Italia di John ci fosse un giovane direttore italiano. Si trattava di un progetto interessante e molto intellettuale, con musiche di Alfred Schnittke, organico di archi, pianoforte, solista e voce narrante. Pensi che John, pur non essendo un musicista, ha messo le parole sulle note con una cura ed una efficacia incredibili. Il lavoro si chiama Report on the blind ed è di Ernesto Sabato, un autore argentino, in cui si narra che il mondo è governato dai ciechi. Chiaramente una metafora. Il soggetto è un perseguitato dal Kgb. Dopo la guerra è andato in paranoia. Mondi sotterranei, oscuri, viscidi. Sembra uno spettacolo di nicchia, invece ha fatto sold out e standing ovation dappertutto. Da parte mia c’è stata una grande soddisfazione per aver fatto un debutto con lui. Mi disse che l’emozione che dà il teatro non la dà il cinema. È stata un’esperienza che lui ha fatto per passione, nei momenti liberi dal cinema. Adesso sta girando The New Pope».
Maestro, è anche direttore musicale di Central Park Summer Concerts. Cosa si è inventato ancora?
Casellati. «È la missione del musicista Casellati, la domanda che mi sono posto qualche anno fa: senza pensare al nostro prestigio di musicisti e al nostro ego, di che cosa ha bisogno il mondo oggi? Quando accendiamo la TV o la radio si sente solo musica pop e non classica. Una volta non era così. L’opera era la musica popolare, mentre oggi è percepita come musica d’élite. A teatro si ritrova solo chi fa l’abbonamento. A me interessa che il pubblico cha va al pop venga all’opera. E non credo in eventuali contaminazioni. L’iniziativa, denominata Opera italiana is in the Air, proposta nel 2017 e 2018 al Central Park è andata molto bene. Si sta ampliando: a luglio la faremo ancora a New York e debutterà anche a Miami il 13 aprile.
Perché proprio a Miami?
Casellati. «Per due aspetti: primo perché lì si trova la comunità italiana più grande dopo New York, quindi abbiamo pensato al fattore sensibile rispetto a questo genere; secondo perché Miami ha investito sull’arte negli ultimi 10 anni in modo molto forte. Sono assetati di cultura e di arte. Esiste ad esempio un “Design District” fantastico. Quando abbiamo proposto al Sindaco l’iniziativa è stato entusiasta. Non vedono l’ora di realizzarla».
Non le sembra che potrebbe essere importante anche in Italia una iniziativa del genere?
Casellati. «La faremo anche in Italia, la annuncerò a tempo debito».
Il suo impegno con il Teatro Carlo Felice di Genova. Com’è cominciato?
Casellati. «La collaborazione nasce con un concerto che andai a fare con l’orchestra del Carlo Felice a Spoleto nel 2012. L’orchestra era in un momento difficile, c’erano molti scioperi. Cercai di convincere i musicisti ad andare, per creare una occasione. Il concerto andò bene, così mi offrirono di dirigere l’Ensemble Opera Studio, un progetto per la selezione di giovani cantanti da inserire come compagnia stabile del Teatro. Selezionammo 700 voci, di cui una trentina poi fecero prime e secondi parti in Nozze di Figaro, oltre ad avere altre occasioni in opere del cartellone. Molte di queste voci hanno fatto carriera, perciò il progetto è stato un successo. Per un anno intero nel 2014 sono stato ogni giorno in Teatro a respirare quella polvere e ho imparato tantissimo. Lì ho debuttato nella lirica con Il Barbiere di Siviglia e L’Elisir d’amore. Genova è una realtà stupenda, sono innamorato del suo teatro e delle sue maestranze. Ritorno ogni anno».
Da Padova a New York. Perchè?
Casellati. «Innanzitutto ci sono due fermate intermedie. Da Padova a Vienna per l’Erasmus e per avvicinarmi alla direzione d’orchestra con Leopold Hager alla Musikhochschule. Avevo deciso di fare l’avvocato degli artisti, quindi ho voluto specializzarmi sui diritti d’autore. Poi da Vienna a Bruxelles per lavorare nella lobby degli autori e degli artisti. Da Bruxelles alla Columbia per il master. Insomma il paladino di arte e cultura».
Alla fine invece si è ritrovato ad interpretare musica invece di diritto?
Casellati. «Esatto. La direzione d’orchestra era un sogno che pensavo di fare come ultima cosa nella mia vita. Ma se non fossi arrivato alla vecchiaia?».
Maestro, è contento di essere a Verona?
Casellati. «Felicissimo, sono veneto! Anzi son veneto!».
Però non è ancora venuto in Arena?
Casellati. «Un passo alla volta».
I sogni sono come demoni, ne ha ancora? Andrebbe a dirigere al Met?
Casellati. «Ho vissuto a New York dodici anni, il Met è stato il teatro che ho frequentato, lo adoro. Non hanno altra scelta, dovranno invitarmi! Tuttavia ho realizzato il sogno americano al contrario, ho coronato il sogno italiano. Fare musica nei teatri italiani per un direttore è un must. Cinquecento anni fa l’opera è nata in Italia, bisogna ripartire da qui. Io sono ripartito da qui!».